Carte processuali sciolte

di Giuseppe Schirò

 

Le vicende dell'Archivio storico dell'Arcivescovado di Monreale sono state da me esposte nella introduzione all'indice del fondo costituito dai registri della Corte arcivescovile compilato nel 1986. (L'introduzione è stata pubblicata nella rivista Beni Culturali e Ambientali della Sicilia, Anno V, nn.3-4, 1984, pp.193-203).

Il fondo Carte sciolte consisteva in una grande quantità di carte, formate da fogli singoli, fascicoli, mazzi legati con spago consumato dal tempo, tutte piegate dall'alto in basso, occupanti circa ottanta metri lineari di scaffalatura metallica, con uno spessore continuo di cm.40-50, nei locali dell'archivio dell'arcivescovado, al piano terreno del palazzo arcivescovile, ed in altri armadi collocati in alcuni locali nelle adiacenze.

Non esisteva nessuna traccia di ordinamento interno alle carte stesse, né esiste alcun indice o altro elemento che possa far pensare ad un passato ordinamento. E mentre i registri pure da me in precedenza ordinati recano evidenti segni di precedente attenzione su di essi, come la rilegatura, dei volumi degli Acta Curiae Civitatis, da attribuire al Millunzi (1920) o come i segni di sottolineatura qua e là lasciati da lui, in relazione ai suoi interessi culturali, qui, nelle carte sciolte non si trova alcun segno di precedente attenzione, né alcun altro elemento che possa far pensare ad un benché minimo tentativo di organizzazione di esse. A me risulta che esse, fino al 1955 circa, giacevano accatastate in alcuni ambienti umidi e oscuri al pianterreno, sotto il grande terrazzo del palazzo arcivescovile e che in quel periodo furono trasportate alla rinfusa ed ammassate in modo da inzeppare la scaffalatura metallica dove esse si trovavano. Qui, pur non mancando solide garanzie di custodia, erano del tutto assenti le altre condizioni per una buona conservazione. Infatti, il locale era oltremodo umido e le carte hanno continuato a subire altri danni fino al punto che una parte di esse può considerarsi perduta o irrecuperabile. Nessuno mai aveva osato leggerci dentro, né, in quelle condizioni, era pensabile una pur minima utilizzazione a scopo di ricerca o di studio. Quanto mai encomiabile è la decisione di mons. Salvatore Cassisa, Arcivescovo di Monreale, che oltre ad ottenere dall'Amministrazione regionale un intervento finanziario per la deumidificazione dei locali, adesso in corso, si è rivolto all'Amministrazione Provinciale di Palermo, per chiedere il finanziamento necessario all'ordinamento sistematico e razionale delle carte sciolte, di che trattasi, intuendone l'importanza ed il valore. La prof.ssa Maria Grazia Ambrosini, Assessore Provinciale alla Cultura, resasi conto personalmente della situazione, sensibile ai valori culturali più stabili e duraturi, non solo ha sollecitato la collaborazione della Soprintendenza Archivistica per la Sicilia, trovandone pronta disponibilità, ma ha anche disposto il necessario finanziamento.

Il lavoro di ordinamento si è svolto in due lotti. A conclusione del primo ho redatto un indice provvisorio, che adesso viene assorbito nel presente. Le carte sciolte, di che trattasi, sono il prodotto dell'attività della Corte arcivescovile di Monreale. Fin dalle origini, cioè fin dal 1182, l'Arcivescovo di Monreale esercitava, oltre i poteri religiosi, anche quelli civili e giudiziari. Inoltre egli era, metropolita nei confronti delle diocesi di Catania e di Siracusa. I poteri civili e giudiziari vengono esercitati quasi ininterrottamente fino al 1812, anno in cui la Costituzione siciliana abolisce i privilegi feudali. Le carte vanno dai primi del '500 al 1812, eccetto un caso in cui ho creduto di dover includere documenti del periodo successivo per non spezzare l'unità di una serie. Per il periodo antecedente al '500 bisogna ricorrere al Tabulario di Santa Maria Nuova che si trova presso la Biblioteca Regionale Centrale di Palermo. Ma, come è noto, esso comprende solo i documenti più importanti e non quelli prodotti dall'Arcivescovado, né quelli riferentesi all'Amministrazione ordinaria. Si può quindi affermare che tutta la documentazione prodotta dall'Arcivescovato prima del '500 sia andata completamente perduta. Dall'esame delle carte in oggetto ho concluso che esse debbano ascriversi all'esercizio di quei poteri dell'Arcivescovo e, pertanto, nella assoluta mancanza di ogni punto di riferimento, le ho distinte in quattro serie:

1 - Quelle relative alla Corte spirituale, cioè quelle relative all'esercizio della giurisdizione ecclesiastica. Questa documentazione pertanto comprende le attività del clero, le questioni tra i membri del clero, tra i vari corpi ecclesiastici o quelle in cui comunque un esponente del clero era coinvolto. Inoltre tutta la materia morale o matrimoniale, le dispense, i processi matrimoniali, gli annullamenti di matrimoni o di professione religiosa e poi tutta la materia penale relativa al clero. L'ampiezza territoriale è quella dell'Archidiocesi stessa.

2 - La seconda serie riguarda i Processi di appello dalle diocesi suffraganee di Catania e di Siracusa. Trattandosi di giurisdizione ecclesiastica, abbiamo qui solo materia ecclesiastica. Ma occorre qui osservare che la materia ecclesiastica non era, allora, limitata così come noi oggi siamo portati a pensare, ma aveva risvolti di ordine civile, sociale ed economico assai ampi. Si tratta, com'è ovvio, del territorio delle suddette diocesi.

3 - La terza serie comprende la documentazione della Corte, cioè, del Tribunale civile. E' la serie più ampia perché la materia è quanto mai vasta, poiché comprende ogni genere di questioni civili: processi per annullamento di atti, per consecuzione di legati, per falsi, ricorsi etc. L'ampiezza territoriale è data dal territorio del Comune di Monreale, per il primo e secondo grado, e dal territorio degli altri comuni dell'Archidiocesi per il secondo grado, come Corleone, Piana degli Albanesi, Bisacquino, etc.

4 - La quarta serie riguarda l'esercizio del potere giudiziario e cioè gli atti del Tribunale penale. Vi si trovano pertanto i processi penali relativi ad ogni specie di reato, come quelli per ferite, risse, percosse, furti, omicidi, abigeati etc. Inutile dire dell'enorme importanza di questi fascicoli che, come del resto nelle altre serie, riportano tutti i precedenti di diritto e di fatto, i verbali, gli interrogatori spesso sotto tortura o minaccia di scomunica, le testimonianze, le relazioni etc. La competenza territoriale è quella stessa del Tribunale Civile.

Al di fuori di queste serie sono rimaste due altre sotto-serie, così direi, costituite dai "frammenti", e dalle carte "deteriorate". I "frammenti" comprendono fogli singoli o piccoli gruppi di fogli, costituenti frammenti di processi la cui ricomposizione è risultata impossibile, perché il resto del fascicolo non esiste più, e tenuto conto anche dell'economia del lavoro. In alcuni casi sono state raggruppate per anni, in molti altri per periodi di 25 anni. Le carte "deteriorate" sono quelle la cui integrità è venuta meno, perché parzialmente distrutte dal tempo, dall'umidità, da incendi o da altri fattori. E' questo il duro prezzo che il fondo ha pagato nelle traversie del passato. Purtroppo tutta questa documentazione, a causa delle traversie subite dall'Archivio e delle quali ho dato notizia nella mia precedente relazione, non è completa e, pertanto, non si può costruire su di essa alcuno studio statistico se non per campione. Né, come ho detto, le carte sono sempre costituite da fascicoli interi ma assai spesso si tratta di frammenti di processi la cui ricostituzione è materialmente impossibile. Né sempre è stato possibile una esatta attribuzione delle carte alle serie sopraddette, dovendosi dare un indice e, non un regesto, né era possibile, data l'economia del lavoro, elencare i piccoli fascicoli formati solo da pochi documenti, eccetto che non si trattasse di materia di particolare importanza. Penso che ci si possa ritenere, almeno per il momento, soddisfatti, avuto riguardo al caotico punto di partenza. Ritengo pure che la disposizione cronologica delle carte ed i contenuti indicati sono sufficienti ad orientare gli studiosi in eventuali ricerche. Mi sembra del tutto superfluo sottolineare l'enorme importanza che dette carte hanno; la vita di più di tre secoli della popolazione del vasto territorio dell'Archidiocesi di Monreale e, per qualche verso, di vari centri delle diocesi di Catania e di Siracusa, appare in ogni suo aspetto: da quello religioso a quello civile, dalle usanze alle superstizioni, dai rapporti familiari a quelli con le autorità, dal livello economico a quello sociale. Inoltre sono quasi sempre assai interessanti i dati indotti, direi, cioè tutte quelle informazioni che ci vengono date di passaggio, relative allo stato delle costruzioni, all'urbanistica, agli strumenti di lavoro, alle strade, ai servizi pubblici, oltre che, s'intende, all'apparato giuridico ed amministrativo su cui si reggeva la società di allora.

Le carte sono state assemblate secondo il contenuto ed in ordine cronologico, disposte in apposite buste contenitori, tali da non permettere la fuoriuscita di esse e la loro impolveratura successiva. Il presente indice contiene, oltre la segnatura, l'oggetto delle singole unità, in modo da individuarne la natura, la data e le altre note dirette a favorirne la consultazione. Ad ogni contenitore è stata applicata una etichetta recante la segnatura. Mi sembra opportuno rilevare che l'indicazione dell'oggetto, desunta quasi sempre dall'occhiello finale dei fascicoli, non sempre può indicare un intero processo. Per facilitare l'uso ho poi preferito rendere i termini in italiano, eccetto in alcuni casi, [sia senza perdere il loro significato originario]. Dato lo stato caotico di partenza e le gravi difficoltà connesse con la natura del lavoro, in alcuni pochi casi qualche fascicolo è stato inserito in una serie diversa da quella in cui avrebbe dovuto essere inserito. Ma ciò nulla toglie alla funzionalità dell'indice, che mi auguro possa essere perfezionato in futuro. La mia lunga esperienza di ricercatore mi induce a distinguere gli utenti di un archivio storico in due categorie: gli esperti ed i principianti. Gli esperti possono ritenersi soddisfatti, credo, delle poche informazioni fin qui date per usare l'indice da me preparato. Per i principianti mi sono permesso proseguire in questa introduzione, affinché essi abbiano una più precisa idea dell'epoca storica e del mondo culturale di cui il fondo Carte sciolte è viva testimonianza.

Per il retto uso del fondo archivistico Carte Processuali Sciolte occorre tener presenti alcune considerazioni relative alla storia delle istituzioni pubbliche della Sicilia per il periodo che va dall'epoca normanna, cioè dal sec. XII, fino al confluire di essa prima nel Regno delle Due Sicilie, nel 1816, e poi nel Regno d'Italia, nel 1860. Non pochi studiosi di storia del diritto pubblico e delle istituzioni amministrative della Sicilia sono concordi nell'affermare che durante tutto questo periodo, malgrado l'avvicendarsi delle dominazioni straniere, la Sicilia mantiene quasi integralmente le stesse fonti legislative e le stesse strutture amministrative, il cui impianto si deve ai normanni. Con l'avvento dei Normanni la Sicilia rientra nell'orbita occidentale latino cristiana e riemerge il diritto romano, oscurato durante l'epoca araba. Ma i Normanni portano anche nuove leggi e soprattutto introducono il sistema feudale, sconosciuto dal diritto romano. Da allora pertanto in Sicilia furono in vigore tre sistemi giuridici: il diritto romano, detto anche diritto comune; il diritto siculo, detto anche proprio, ed il diritto franco relativo alla materia feudale. Il diritto proprio si riferiva soprattutto al diritto pubblico, cioè all'organizzazione dello Stato, delle magistrature, del sistema tributario, dove le mutazioni erano frequenti e necessarie, mentre il diritto comune si riferiva al privato, che rimase più stabile, come nella materia matrimoniale dove si seguiva il diritto comune ed il diritto canonico. Ovviamente, tanto le norme del diritto comune come quella del diritto franco valevano fin tanto che non fossero in contrasto con le norme particolari del diritto proprio. La legislazione normanna trova la sua matura codificazione nelle Constitutiones che Federico II lo Svevo emana nel 1231 e che vengono considerate come gli Statuta regni la cui importanza tuttavia diminuisce col passare degli anni, a causa dell'abbondanza della successiva produzione legislativa. Il principio fondamentale, valido dall'epoca normanna in poi ed affermatosi in modo particolare nel periodo del Viceregno, è che summum imperium ac omnis Jurisdictio in rege residet, vel eo absente in Prorege aut in Praeside ab iisque veluti a perenni fonte in rivulos, in magistratus manat atque diffunditur. Ma questo principio fondamentale, affermato dai giuristi e che comportava quasi un rapporto personale tra Re e sudditi - tanto che ogni sovrano doveva confermare di volta in volta le disposizioni dei suoi predecessori - trovava poi nella realtà una serie di condizionamenti che ne limitavano l'assolutismo: i grandi Consigli, le magistrature, tutto l'apparato burocratico, il senato palermitano, le corti giuratorie, le corporazioni di arti e mestieri e tutte le altre giurisdizioni autonome. Questo si spiega col fatto che la Sicilia non si considerava un regno di conquista, ma un regno che si era "donato" alla monarchia, con un vincolo contrattuale che i sovrani dovevano rispettare in modo irrefragabile. Un'altra considerazione è da tenere presente: il sovrano era titolare del potere pieno: di quello legislativo, esecutivo e giudiziario. Le funzioni erano amalgamate ed inscindibili e tutte le magistrature dipendevano dal sovrano.

La serie di leggi di maggiore dignità e importanza è quella dei Capitula Regni Siciliae detti così, secondo il Testa avuto riguardo all'uso invalso al tempo degli Aragonesi di disporre le leggi per capitoli. I capitula erano le leggi emanate dal Re o dal Viceré su proposta del Parlamento o meglio rogatu Regni, come dice il Testa, ed erano anche le sole proposte di legge o le "grazie" approvate dal Parlamento e prive della sanzione regia o viceregia (placet). Non sempre infatti le proposte parlamentari venivano accolte. Il De Stefano ritiene che la denominazione di "capitoli" abbia avuto all'origine un senso costituzionale significando che la fonte della sovranità era la nazione siciliana e non il re. I Capitoli avevano una portata tanto generale che particolare. La prima raccolta di essi viene pubblicata a Messina, nel 1497. Una seconda viene pubblicata, pure a Messina nel 1523 e nel 1526. Nel 1573 esce a Venezia la terza raccolta. L'ultima è quella pubblicata a Palermo nel 1741-43, per incarico della Deputazione del Regno, a cura di Francesco Testa, canonico della Cattedrale di Palermo e futuro Arcivescovo di Monreale. L'opera del Testa pur non priva di alcuni difetti, comuni del resto alle altre raccolte, costituisce uno strumento di grande importanza e valore per la conoscenza metodica dei capitoli. Per quelli successivi al 1738, anno a cui si estende la raccolta del Testa, possediamo lo studio di Giuseppe Spata Capitula Regni Siciliae recensioni Francisci Testa addenda, pubblicato a Palermo nel 1865. Una raccolta completa e definitiva, che colmasse le lacune precedenti stava per essere tentata da Luigi Genuardi, ma la sua morte prematura ha impedito la realizzazione dell'opera. Assai affini ai Capitoli sono gli Atti del Parlamento che sono le leggi emanate dal Sovrano, su proposta del Parlamento, riguardanti i donativi o anche le proposte di legge circa i donativi approvate dal Parlamento e prive della sanzioni del re o del Viceré. Degli Atti si hanno varie edizioni, ma questa serie di leggi ha poche relazioni con questo Fondo archivistico. La lontananza dei Sovrani di Sicilia, che erano anche i Re di Spagna, dà origine ad altre serie di leggi, come le Lettere reali, le Prammatiche e le Sicule sanzioni. Le lettere regie, che si conservano negli Archivi pubblici, erano disposizioni che, secondo una usanza romana, i Re davano su ogni disciplina, ma specialmente in materia di finanza pubblica. Col nome di Prammatiche, che sempre secondo il diritto romano significano imperia principis; sono indicate le leggi emanate dal Re o dal Viceré, uditi i rispettivi Consigli collaterali, che per la Sicilia era il Sacro Regio Consiglio.

Anche delle Prammatiche si hanno varie raccolte che formano ben 10 volumi, a partire dal 1574. La raccolta organica e sistematica delle Prammatiche si arresta però al 1579 con i due volumi pubblicati a Palermo da Francesco Paolo Di Blasi nel 1791 e nel 1793. La sua condanna a morte per congiura, lascia l'opera incompleta. Migliore fortuna ha avuto invece la raccolta delle Siculae Sanctiones il cui esatto significato alla luce del diritto romano, stando al Testa riguarderebbe quelle prammatiche contenenti un divieto, ma nell'uso corrente comprendono dispacci, avvisi regi o viceregi emanati in occasioni particolari per un fine specifico, come correggere qualche abuso o sciogliere qualche dubbio e che qualche volta acquistavano forza di legge. Esse sono contenute in sei volumi a cura del giudice palermitano Nicola Gervasi, incaricato dal viceré Eustachio di Lavieufouille. Ma neanche in questo caso si riscontra la completezza. Tutte queste fonti legislative riguardano in particolare l'ordinamento dello Stato nel suo insieme. Ma, come osserva il Gregorio, "siccome vi ebbe tempo che si visse con pochissimi regolamenti, e le popolazioni per li diversi casi e usi civili doveano adottare alcune forme di vivere, né le leggi primitive riguardanti la costituzione politica poteano di ordinario regolare gli infiniti e molteplici casi di privati, indi avvenne, che ciascheduna popolazione sin da rimotissimi tempi ebbe i suoi particolari statuti, circoscritti dentro al ricinto del suo territorio, i quali volgarmente consuetudini si appellano". Le consuetudini pertanto, sono distinte dalle leggi vere e proprie, pur essendo un fenomeno giuridico riscontrabile in quasi tutte le città dell'isola, sono proprie di ciascuna città e pur essendo spesso concordi in vari punti; a causa soprattutto dello sforzo di uniformazione fatto dai sovrani aragonesi, presentano tuttavia notevoli divergenze su alcune materie particolari. Evidentemente Palermo è la città che ha il maggior numero di raccolte. Si ha notizia delle consuetudini di Palermo dal 1255, che vengono pubblicate la prima volta a Palermo nel 1477. Sono poi da ricordare i Capitoli e le Ordinazioni di Marc'Antonio Colonna e di altri Viceré spettanti al Pretore, pubblicati a Palermo nel 1615 e nel 1777. Nel 1745 per iniziativa del Senato palermitano, il Cancelliere della Città Pietro La Placa pubblica i Capitoli ed ordinazioni della "felice e fedelissima città di Palermo" ristampati nel 1760. Si conoscono poi le consuetudini di molte altre città della Sicilia, come di Messina, Trapani, Caltagirone, Siracusa, Agrigento, Noto, Corleone, etc. ognuna delle quali vantava una più o meno antica origine. Alcune poi erano state arricchite da commenti ad opera di insigni giuristi. Alcune città poi recepivano quelle delle città più grandi, come Monreale che si riferiva a quelle di Palermo. La materia delle consuetudini era data dai regolamenti relativi alla custodia dei colti delle campagne, ai beni ereditali e dotali, alla loro successione e divisione, alla maniera di poter testare delle doti delle mogli e in che quantità possano farlo, o in altra maniera disporne. Passano poi a trattare delle emancipazioni e, degli alimenti che devono i padri e le madri prestano ai loro figliuoli. Vi hanno delle leggi intorno alla riscossione dei debiti, intorno ai contratti, e si parla delle compre, delle locazioni e conduzioni, e dei pegni e si tratta dei coloni e dei famigli e delle servitù e di cose a quelle appartenenti. Vi sono assai ordinazioni relative alla disciplina civile... leggi intorno ai diritti di prelazione... e vi erano anche altre norme, che riguardavano i rapporti civili e le funzioni degli ufficiali municipali. Le consuetudini, regolarmente approvate, avevano forza di legge, perché previste dalle leggi generali sicule. Il Gregorio ricorda una costituzione, attribuita al re Guglielmo II, nella quale si impone ai vari giudici di amministrare la giustizia secondo le costituzioni del Regno e quindi secondo le consuetudini di ciascun luogo. L'imperatore Federico poi alle costituzioni dei Re suoi predecessori ed alle sue congiunge le approvate e valide consuetudini; -"anzi nella elezione dei notari e dei giudici prescrive che debbano questi presentare le lettere testimoniali di quel luogo, per cui saranno ordinati, e quelle doveano attestare, non solo la loro probità, ma ancor la perizia e la pratica loro delle costumanze del luogo". E' evidente che il diritto romano traspariva nelle consuetudini in modo maggiore che nelle altre leggi. Le fonti legislative siciliane, relative al lungo periodo qui considerato, costituivano come una selva quasi inestricabile che rendeva assai viva l'esigenza di una codificazione organica da parte degli operatori del diritto, mentre la pubblica autorità non sentiva ugualmente la stessa esigenza, forse perché, come osserva il Giardina, il carattere ufficiale delle raccolte, promosse sempre dal governo, rendeva meno urgente la necessità di un codice, contrariamente a quanto avveniva negli altri stati della penisola e perfino nel regno di Napoli.